Stile di vita, Malattie non trasmissibili (NCD) e COVID-19
Nota della redazione ISB a cura della Dott.ssa Francesca Passannanti, Biologa Nutrizionista
(da una lettura di Zabetakis I , Lordan R, Norton C and Tsoupras A, COVID-19: The Inflammation Link and the Role of Nutrition in Potential Mitigation. Nutrients 2020, 12, 1466.)
Durante il periodo di quarantena siamo stati informati e formati in vario modo su quali fattori ci esponessero ad un maggiore rischio di manifestazione severa della patologia. Tra questi, sicuramente le malattie non trasmissibili (NCD – Non Communicable Diseases) sono uno dei fattori di rischio maggiore (1). Per malattie non trasmissibili si intende quell’insieme di condizioni patologiche, in buona parte croniche, che sono responsabili di circa il 60% dei decessi a livello globale. Ad esse appartengono il diabete, le malattie cardiovascolari, i tumori e le malattie respiratorie croniche, tutte condizioni favorite, tra le altre, da scelte di vita non salutari, quali una scorretta alimentazione, la sedentarietà o il tabagismo.
In Italia, grazie alle misure di prevenzione e contenimento adottate, siamo usciti dalla fase di lockdown, caratterizzata da riduzione al minimo degli spostamenti e da smart working, che ha portato un po’ tutti a scelte di vita meno salutari e a qualche kg in più, ossia a comportamenti predisponenti ad eventuali malattie non trasmissibili.
Dieta e stile di vita poco salutari si associano, infatti, ad infiammazione di basso grado ed aumento dello stress ossidativo, che potrebbe portare allo sviluppo di malattie non trasmissibili (2). Peraltro, un indice di massa corporea (BMI) più elevato o un’eccessiva adiposità sembrano essere ulteriori fattori di rischio per complicazioni derivanti dall’infezione COVID-19 (2, 3).
E’ quindi molto importante prestare attenzione allo stato nutrizionale, che, come visto, può avere un impatto significativo sulla salute generale di un individuo, sulla riduzione delle NCD e una ridotta suscettibilità allo sviluppo di infezioni. Premesso che non esiste un alimento che prevenga il rischio di COVID-19, bisogna però ricordare che esistono varie diete e sostanze nutritive che possono conferire proprietà antinfiammatorie e immunomodulanti su malattie, tra cui quelle cardiovascolari, quelle polmonari e numerose NCD, senza rischiare l’immunosoppressione (4, 5, 6, 7).
La dieta anti-infiammatoria per eccellenza è la Dieta Mediterranea che si caratterizza per l’elevata assunzione di frutta, verdura, legumi e cereali integrali, per la moderata assunzione di pesce e carni bianche e per una limitata assunzione di carni rosse e trasformate, il tutto condito con olio d’oliva ed affiancato da frutta secca e vino (nelle giuste dosi!).
Tuttavia c’è anche da dire che al giorno d’oggi siamo convinti di seguire un regime Mediterraneo che di mediterraneo ha ben poco: cereali raffinati al posto di quelli integrali, elevato consumo di carni rosse e trasformate, poca assunzione di acqua, di vegetali e frutta, tanti dolci e prodotti ad alta densità calorica… insomma qualcosa di molto più simile ad una Western diet, che si associa ad iperglicemia ed ipertrigliceridemia, infiammazione, complicanze metaboliche e malattie croniche: tutte condizioni che determinano un aumentato rischio di gravi complicanze da COVID-19 (8, 9).
Ma cosa offre la Dieta Mediterranea (quella vera!)?
- Frutta e verdura: sono ricche in antiossidanti, vitamine, minerali e sostanze fitochimiche, inclusi composti fenolici che possono esercitare effetti antiossidanti ed antinfiammatori (10, 11, 12). I polifenoli possono anche esibire effetti antivirali contro il virus Zika e il virus Dengue (13,14). La raccomandazione è di consumare quattro o più porzioni al giorno;
- Pesce e oli di pesce: sono stati associati a vari benefici per la salute contro numerose NCD, tra cui le malattie cardiovascolari e il cancro (15-18). Gli acidi grassi polinsaturi Omega-3 (PUFA), in particolare l’acido eicosapentaenoico (EPA) e l’acido docosaesaenoico (DHA) di pesce, altre fonti marine e integratori, hanno dimostrato di essere anti-infiammatori attraverso diversi meccanismi cellulari, inclusa la loro incorporazione nelle membrane cellulari con conseguente sintesi alterata di eicosanoidi (15, 16). In particolare l’assunzione di 2-4 porzioni di pesce a settimana è associata alla più grande riduzione del rischio (17). EPA e DHA, non sono gli unici ad aver mostrato effetti immunomodulatori (19): altre molecole lipidiche nei pesci, inclusi i lipidi polari, mostrano effetti antinfiammatori attraverso meccanismi diversi, modulando attività e metabolismo del fattore PAF (Platelet-Activating Factor)(15, 20). E’ noto che PAF e il suo recettore (PAF-R) sono coinvolti in numerose NCD (2) e infezioni virali come HIV [21], virus dengue (22, 23), virus respiratorio sinciziale (24) e lesioni polmonari causate dall’influenza A (25). Il pesce e altri alimenti contengono anche lipidi polari che mostrano potenti effetti anti-trombotici contro PAF e altre vie pro-trombotiche, tra cui trombina, collagene e adenosina difosfato (ADP) (15, 26, 27). Pertanto, l’aumento del consumo di pesce può fornire i nutrienti e le molecole bioattive che possono influenzare alcuni dei meccanismi e delle complicanze di COVID-19, come l’infiammazione e la trombosi. Attualmente, 2-4 g di acidi grassi n-3 sembrano essere fisiologicamente rilevanti contro l’ipertensione, l’infiammazione e la trombosi; tuttavia, sono state suggerite dosi ancora più elevate (15, 28-30).
- Fibre: solubili (presenti in crusca d’avena, orzo, noci, semi, fagioli, lenticchie, piselli e alcuni frutti e verdure) e insolubili (crusca di frumento, verdure e cereali integrali). Con l’assunzione di fibre alimentari è stata osservata una minore incidenza di traslocazione batterica attraverso la barriera intestinale (31). Tra i potenziali meccanismi attraverso i quali la fibra alimentare influenza il sistema immunitario vi sono i cambiamenti ai tessuti linfoidi associati all’intestino (GALT) derivanti dalla microflora intestinale alterata. La fibra prebiotica non viene né idrolizzata né assorbita nella parte superiore del tratto gastrointestinale e diventa un substrato selettivo per uno o un numero limitato di batteri colici benefici (32, 33). In effetti, l’assunzione di fibre è stata associata ad aumentata sopravvivenza di topi infetti dall’influenza attraverso vari meccanismi. E’ quindi raccomandabile aumentare il consumo di fonti di fibra sia solubile che insolubile a 25-38 g / giorno (34) anche se attualmente, non ci sono raccomandazioni per l’assunzione di fibre durante la pandemia.
- Vitamina C: gran parte della ricerca sull’assunzione di vitamina C è fatta sugli integratori, ma la vitamina C può essere ottenuta anche attraverso fonti dietetiche come agrumi, bacche, brassicacee, verdure a foglia verde, pomodori e vari altri frutti e verdure. La sua assunzione si associa sia ad una riduzione della severità che della durata del raffreddore (35). Poiché non ci sono studi sui possibili dosaggi utili contro COVID-19 della vitamina C della, ci sono raccomandazioni limitate per la sua assunzione. Tuttavia, in precedenza, dosi di 1–2 g/ giorno erano efficaci nel prevenire le infezioni delle vie respiratorie superiori. Poiché tali livelli non sono raggiungibili attraverso fonti alimentari, l’integrazione può essere consigliata per coloro che hanno un rischio più elevato di infezioni respiratorie.
- Vitamina D: definita come la vitamina del sole, si trova anche in uova, funghi, pesce azzurro come il salmone, latte e prodotti lattiero-caseari o alimenti arricchiti. Ricerche recenti hanno suggerito che l’aumento dell’assunzione di vitamina D possa ridurre il rischio di infezioni ed anche di COVID-19 (36). Peraltro gli autori ipotizzano che bassi livelli di vitamina D possano avere un ruolo nelle alte incidenze di COVID-19, poiché lo scoppio si è verificato in inverno. I ricercatori hanno anche sottolineato la necessità che i gruppi vulnerabili mantengano un livello adeguato di vitamina D per ridurre il rischio di infezioni respiratorie, incluso il COVID-19 (37, 38). La vitamina D può esibire effetti antivirali interferendo con la replicazione virale e attraverso le sue proprietà immunomodulanti e antinfiammatorie [39]. Di conseguenza, si presume che un aumento della vitamina D possa fornire benefici contro l’infezione da SARS-CoV-2. Sono necessarie ulteriori ricerche prima di poter determinare i valori profilattici o terapeutici della vitamina D contro COVID-19.
- Vitamina E: presente in noci, semi e oli, così come in verdure a foglia verde e in cereali fortificati. È generalmente accettato che la vitamina E possa esercitare i suoi effetti di immuno-potenziamento riducendo lo stress ossidativo (39) e può indurre effetti antinfiammatori (40). È stato suggerito che una combinazione di vitamine C ed E possa essere una terapia antiossidante utile per complicanze cardiache di COVID-19 (41), ma al momento ci sono poche prove sull’utilità della vitamina E come agente profilattico o terapeutico contro COVID-19.
- Zinco: presente in alimenti come carne, latticini e legumi, ecc., è un oligoelemento che è fondamentale per lo sviluppo delle cellule immunitarie ed è un importante cofattore per molti enzimi. La carenza di zinco può contribuire ad una maggiore suscettibilità a varie infezioni, inclusa la polmonite (42, 43). È stato suggerito che aumentare l’assunzione di zinco può essere utile contro le infezioni da COVID-19, poiché si va a ridurre la replicazione virale e gli effetti dei sintomi gastrointestinali e delle basse vie respiratorie [44]. Peraltro un’assunzione di zinco di 30-50 mg / giorno potrebbe aiutare nel controllo dei virus ad RNA come influenza e coronavirus (45).
- Rame: presente in alimenti come frattaglie e frutta a guscio e, in misura minore, cereali e frutta. La carenza di rame è stata associata a risposte immunitarie alterate e ad una maggiore frequenza di infezioni (46) e può verificarsi in seguito a infiammazione cronica dei polmoni indotta da TNF-α (47). Tuttavia, livelli elevati di rame sierico sono stati associati a effetti negativi sulla salute respiratoria nell’uomo (48). Una diffusa aderenza alle linee guida sull’alimentazione sana dovrebbe garantire un livello di assunzione di rame sufficiente. Sebbene non esistano raccomandazioni sull’apporto dietetico di rame utile contro COVID-19, un apporto di 7,8 mg / giorno sembra associarsi a ridotto stress ossidativo. Pertanto, sono necessarie ulteriori studi per determinare se una maggiore assunzione possa favorire le funzioni immunitarie contro le infezioni virali.
Poiché non esiste ancora una cura o trattamento efficace noto per COVID-19, tutte le potenziali terapie, interventi di mitigazione e strategie di prevenzione in grado di ridurre l’incidenza o la gravità dell’infezione sono di vitale importanza. In questa review, l’infiammazione associata a comorbilità preesistenti è stata evidenziata come un fattore di rischio significativo per i pazienti con COVID-19. Sono quindi state discusse alcune delle terapie antinfiammatorie ed il ruolo potenziale dello stato nutrizionale di una persona, i nutrienti e gli alimenti che possono esercitare effetti antinfiammatori ed immunomodulatori.
In conclusione è fondamentale seguire una dieta e uno stile di vita salutari durante la pandemia, soprattutto per i soggetti più vulnerabili, che dovrebbero quanto meno raggiungere i livelli di assunzione minimi raccomandati di alcuni nutrienti, così come visto. Sono tuttavia richiesti ulteriori studi in questo ambito.
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